Onorevoli Colleghi! - Come è noto l'attuale importo pensionistico minimo per i coltivatori diretti e categorie assimilate è poco più di 400 euro al mese. Si tratta di una cifra fortemente inferiore a quella di 900 euro mensili assunta come riferimento per definire la linea di povertà ai fini della valutazione del fenomeno della povertà e della esclusione sociale. Per contro è una cifra vicina ai 381,72 euro dell'assegno sociale concesso a coloro che non hanno mai versato alcun tipo di contributo assicurativo.
      Si tratta, chiaramente, di un trattamento ingiusto da un punto di vista sociale, perché disconosce il lavoro svolto per lunghi anni in una attività faticosa, difficile e produttrice di utilità generale per tutta la comunità; esso è, inoltre, controproducente da un punto di vista economico perché contrasta con la riconosciuta esigenza di una nuova spinta di ammodernamento dell'agricoltura.
      In particolare, il trattamento è socialmente ingiusto perché i soggetti ad esso sottoposti sono proprio coloro che nei decenni passati, dagli anni cinquanta agli anni settanta, quando ampie masse di appartenenti al mondo agricolo abbandonavano la terra per cercare attività che potevano, forse, ma non sempre, apparire più avanzate ma certamente più comode e remunerative, hanno preferito rimanere nell'attività agricola, il più delle volte nelle aziende coltivate dalle loro famiglie, non per ignavia ma per dare ad esse un nuovo necessario impulso.
      Di queste aziende essi sono stati non solo i lavoratori ma i gestori e quindi gli imprenditori. In sostanza, in una economia che si andava aprendo al mercato per merito in gran parte delle loro scelte imprenditoriali e della loro spinta all'innovazione oltre che del loro lavoro, l'agricoltura italiana, malgrado le specifiche difficoltà ambientali e strutturali, ha potuto

 

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affrontare l'unificazione europea, adeguare qualitativamente e quantitativamente le sue produzioni all'evoluzione dei consumi, limitando il disavanzo della bilancia commerciale e spesso anche svolgendo funzione antinflazionistica, e porsi all'avanguardia fra le diverse agricolture europee.
      Contemporaneamente, essi hanno svolto la funzione di difensori dell'ambiente, contribuendo alla sua sistemazione ed alla sua salvaguardia, e di conservatori del grande patrimonio di culture e di tradizioni tipico delle diverse parti del nostro Paese.
      Ma il trattamento pensionistico prima richiamato è anche contrastante, dal punto di vista economico, con le nuove impellenti esigenze di ammodernamento del settore agricolo in forza dell'allargamento dell'Unione europea e dei nuovi processi di globalizzazione dei mercati mondiali.
      Non a caso gli stessi regolamenti strutturali dell'Unione europea, e in particolare il regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, sottintendono un intervento nei confronti degli anziani non solo come un intervento di carattere sociale, ma soprattutto come uno stimolo alla riconversione, all'ammodernamento e al ringiovanimento della nostra agricoltura per fare fronte a quelle nuove prospettive.
      Così come la stessa legislazione nazionale, agevolando l'assunzione di responsabilità imprenditoriale da parte dei giovani agricoltori, intende conservare e valorizzare nuove forze, aperte all'ulteriore progresso, per fare fronte alle ulteriori prospettive del settore.
      Per contro, proprio il limitato importo delle pensioni di cui possono usufruire fa sì che spesso gli anziani si vedono costretti a continuare a condurre, allo scopo di migliorare le loro entrate, appezzamenti di terreno in proprietà o in affitto.
      Ma ciò, come è ovvio, da un lato ostacola l'assunzione della responsabilità imprenditoriale da parte dei giovani, come appunto prevede la regolamentazione comunitaria, e dall'altro non facilita l'ampliamento delle imprese e il loro consolidamento, in qualche maniera contribuendo a cristallizzare la dinamica fondiaria.
      Dal punto di vista degli oneri finanziari, come è noto, proprio la grande dinamica sociale che negli ultimi decenni ha caratterizzato il settore agricolo e tutta la società nazionale attraverso l'abbandono dell'attività agricola di soggetti allora giovani fa sì che allo stato attuale, mentre gli iscritti alla gestione previdenziale dei coltivatori diretti, coloni, mezzadri ed imprenditori agricoli sono poco più di 700.000, la relativa gestione previdenziale presenta quasi 2.100.000 pensionati, con un rapporto negativo che rende la gestione passiva.
      Per questa ragione si può calcolare che per portare i pensionati agricoli al di sopra della soglia di povertà la spesa totale a carico dello Stato possa essere stimata in circa 200 milioni di euro anche se, in prospettiva, essendo elevata l'età media dei titolari di pensione e di vecchiaia, si può ritenere possibile il progressivo assorbimento dei maggiori oneri attraverso il risparmio di gestione.
      La presente proposta di legge si compone di quattro articoli: l'articolo 1 definisce l'ambito di applicazione; l'articolo 2 reca le norme sull'assegno integrativo; l'articolo 3 stabilisce la decorrenza del beneficio; l'articolo 4 prevede la copertura finanziaria.
 

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